lunedì 15 luglio 2019

APPUNTI A MARGINE DELLA TAVOLA ROTONDA “FUNZIONI SOCIALI ED EDUCATIVE DEI GRUPPI FOLKLORICI"


ll 12 luglio 2019, nel Castello Aragonese di Castrovillari, in occasione dei "90 anni di storia del Gruppo folklorico Pro Loco del Pollino di Castrovillari" si è tenuta, in collaborazione con l'Accademia Pollineana, la Tavola rotonda sul tema: "Funzioni sociali ed educative dei Gruppi folklorici", ispirata, tra l'altro, all'articolo specialistico di V. Cocca “ Interessare i giovani al proprio patrimonio etnografico. Attuali proposte educative della F.I.T.P.” , apparso nel n. 3 della rivista " Il Folklore d’Italia". Sono intervenuti, dopo i saluti del pres. della Pro Loco, prof. Eugenio Iannelli, e l’introduzione del Direttore artistico, dott. Gerardo Bonifati, il Prof. Enzo Vinicio Alliegro, del Dip. Scienze sociali "Federico II", UNINA, il prof. Leonardo Alario, Pres. I.R.S.D.D. di Cassano Jonio, il Pres. F.I.T.P. Benito Ripoli, il Segretario generale F.I.T.P. Franco Megna. Ha coordinato i lavori il prof. Mario Atzori, UNISASSARI. Cruciale la domanda introduttiva, quasi un “problem solving”: “ Come i Gruppi folklorici hanno svolto e svolgono tuttora il loro ruolo?”. Questione assai complessa da risolvere. Certo è che nel passaggio da una società agricolo-pastorale ad una società industriale, affermatasi non più in ambito rurale, bensì urbano, il recupero della tradizione culturale popolare, o meglio, come sostiene Alario, della “tradizione culturale orale”, compiuta dai Gruppi folklorici, ha avuto la finalità di documentare il passato. Come lo hanno riproposto? Tendenzialmente attraverso un’opera di spettacolarizzazione. Si è trattato, per meglio dire, di due operazioni distinte, inerenti alla documentazione ed alla trasposizione scenica. Di cosa, nello specifico? Di un mondo che stava scomparendo. Permaneva in qualche festa popolare o per alcuni aspetti nelle Feste dell’Unità, in cui si ricordava qualche aspetto del passato. In seguito, l’attenzione per l’attività dei Gruppi folklorici si è spostata in seno alle famiglie interessate, in cui, in particolare le madri, secondo Ripoli, attratte dalla bellezza e dalla fattura degli abiti tradizionali (o per meglio dire storici), hanno cercato il coinvolgimento di bambine e bambini in questo settore. Atzori fa notare, con un certo rammarico, che quei bambini, una volta adolescenti, sono attratti dalla “movida” che, a partire dal venerdì sera e per tutto il fine settimana, li tiene avvinti allo “sballo” collettivo, non sempre salutare e produttivo. In alcune regioni d’Italia, ad esempio la Puglia, le “tarantate” hanno saputo rispondere a questo desiderio di liberazione collettiva, con rituali “ipnotici” che ne hanno decretato la diffusione ed il successo. Si è trattato di far transitare le giovani generazioni da un ballo originariamente di dolore e di tragedia ad un ballo di piacere e di liberazione del corpo (e dell’anima). Attualmente non è del tutto chiaro come interessare i giovani alle attività dei Gruppi Folklorici. Megna cita la grande letteratura, per intenderci quella di Corrado Alvaro con il capolavoro, “Gente in Aspromonte” ed indica nelle due direttrici della cultura e della bellezza il segreto per una crescita d’interesse. E tuttavia, forse, come insegna lo stesso Alvaro, si deve distinguere tra il riconoscimento della vita cruda cui canti e balli popolari alludono e l’amore disperato dei paesi lasciati dalle migliaia di emigranti costretti dalle necessità impellenti ad emigrare e che finiscono per esprimere l’amore per il loro paese come ricordo (e quindi trasfigugurazione della realtà) e leggenda. Chiave di volta è ancora lo studio e l’affidamento ad esperti del settore, per evitare banalizzazioni e passatismi. C’è tanta voglia di protagonismo sano: lo spettatore ama capovolgere il proprio ruolo in quello dell’attore, del protagonista, e forse proprio in questo si può rinvenire la motivazione del successo di sagre e feste popolari in cui le tradizioni eno-gastronomiche del territorio ben s’accoppiano con degustazioni, interpretazioni, coinvolgimenti, nel clima della festa dei territori. Alliegro, da attento studioso, invoca la costituzione di banche dati, l’ intensificazione e l’affinamento delle ricerche. Denuncia che “la mancata rigenerazione dei Gruppi folklorici” è un problema di ordine generale, ascrivibile anche ad altre associazioni. Sarebbe utile indagare su “Quali e quanti siano i giovani iscritti ai Gruppi folklorici; quali e quanti iscritti alla Federazione, quale è la mortalità e per quali ragioni si verifica”. Certo è che oggi è particolarmente difficile essere giovani, è complicato. Non mancano proposte, opportunità, stimoli, ma quali di questi ultimi si concretizzeranno in veri e propri programmi culturali? Un giovane, per lo più, tende a seguire le mode, perché in fondo il problema è essere accettato e riconosciuto dal gruppo dei pari. Il gruppo, con  i suoi componenti, fissa l’abc dei comportamenti. Ci si è chiesti, ad esempio, quale è il livello di decodifica degli spettacoli proposti? Cosa passa ai giovani dal palcoscenico e dai suoi attori? Sono scrittori, ballerini, è un défilé di moda o cos’altro? Poi c’è il problema dell’intreccio dei linguaggi, dell’intersecazione dei media, verbali, prossemici, musicali, coreutici, etc. Insomma, centrali dovrebbero essere le domande “Come ci giudica il pubblico?/ Che idea collettiva circola di noi?/ Nel mercato musicale-ricreativo, quale spazio occupiamo?”. Gli spettacoli solitamente semplificano, i Gruppi folklorici tendono alla complessità dei linguaggi. Un altro problema potrebbe essere che il pubblico non sempre è in grado di comprendere i vari media usati, i vari registri e stili: canori, prossemici, strumentali, ecc. Dunque, affrontando e risolvendo questi problemi, “Occorre rinnovare la mission”. Poiché non esiste “la tradizione”, bensì “le tradizioni”, occorre anche ricostruire i contesti. Paradossalmente ciò che è potenzialmente attrattivo è anche, al contempo, limitante. Tuttavia, sapere e potere riconoscere “Qui c’è la nostra storia, la nostra identità, le nostre radici”, questo è estremamente attrattivo. Autenticità, genuinità, spontaneità: questo è il catalizzatore. Istinti repressi in altri ambiti socio-culturali possono essere espressi e rappresentati dagli spettacoli folklorici, così come stati alterati della coscienza (artisticamente parlando) nello spettacolo folklorico funzionano, sono potenzialmente formidabili attrattori. Atzori ricorda che “Bisogna partire dal mondo dei bambini, dal mondo dei ragazzi”, persino dall’amato ed acclamato Vasco Rossi, per recuperare la funzione pedagogica. Alario fa un discorso tutto suo. Per l’antropologo cassanese “per attrarre giovani ed adulti alla realtà della cultura popolare, bisogna rifondare il lessico”. Chiarisce che il folklore non è fatto di cose antiche, così come la lingua italiana: è sì antica, ma si è evoluta. Finora, incalza, il folklore è esistito perché ha sviluppato il suo aspetto evolutivo e dinamico. Per non scomparire, il folklore deve tener conto che la fenomenicità dell’esperienza storica dell’uomo deve entrare in contatto con l’evoluzione dei tempi. Il folklore deve privilegiare  la cultura di tradizione orale. “Popolare” potrebbe essere termine equivoco e persino pericoloso. Se la coscienza del bambino si forma per inculturazione essenzialmente dalla madre, a quale tradizione il bambino nativo digitale si affiderà? Ciò che conta, per Alario, è lo sguardo, l’ascolto, il linguaggio. Il folklore esiste perché ci sono persone che lo elaborano. Per rifondare la propria identità, bisogna portare quasi inchiavardato, sostiene Alario con una certa enfasi, il campanile del proprio luogo d’origine, tenendo conto, poi, di tre elementi fondamentali: teatralizzazione, piacevolezza, verosimiglianza/utilità. Atzori, a conclusione, lancia una bella provocazione culturale: leggere o rileggere Anton Semenovič Makarenko, autore del “Poema pedagogico” che ha come obiettivo della sua impresa quello di costruire l’ “uomo nuovo”, l’ “uomo socialista” e questo si può ottenere anche da giovani vagabondi, la cui “anormalità”, secondo Makarenko, è solo transitoria; l’importante è offrire loro una prospettiva, poichè l’uomo non può vivere se non vede davanti a sè nulla di piacevole, dato che la gioia del domani è il vero stimolo della vita umana. Intervengo dal pubblico per chiedermi e chiedere agli illustri ospiti se nella “società liquida” cui apparteniamo e di cui ci ha resi edotti il genio del compianto Zygmunt Bauman ci potrà mai essere un solo approdo, una sola risposta possibile, un centro capace di aggregare la complessità delle sfide che ci attendono, dall’identità plurale che passa attraverso la riscrittura del codice etico dei rapporti tra sessi ed identità varie, là dove si riconosca la necessità e perfino l’impellenza di ridefinire la parità di genere (o di tutti i generi)  nelle concrete opportunità e sostanziali riconoscimenti reciproci, autoeducandoci finalmente alla libertà, al rispetto ed al riconoscimento pacifico e stimolante dell’ alterità, sia che si tratti di un minore, sia che si tratti di una donna o di un migrante, o ancora di un’altra identità sessuale, fino al porci per davvero il marcato e persino drammatico problema dei diritti mancati, delle minoranze disconosciute, dell’imposizione delle culture prodotte dalle elites  dominanti, raramente realmente aperte alla problematicità della conoscenza e delle altre visioni della vita. Io spero, con tutte le mie forze che, comunque vada, resteremo umani, ci sforzeremo perciò di essere più solidali, più inclusivi, più legati alle straordinarie forme di vita e di cultura, comprese quelle dell’ambiente circostante con le sue quasi infinite varietà della flora e della fauna e che, qualunque siano per noi, abbiano sempre qualcosa da insegnarci.Castrovillari, 15 Luglio 2019Filomena Minella Bloise     


  Ripartono a cura dell’Accademia Pollineana di Castrovillari le iniziative di lettur...