“ L’ombra è dentro lo scavo del
tempo. Il poeta vive nel disordine, e vive di disordini. La poesia di Quasimodo
ha onde greche e latine. Quasimodo resta nella caverna, aperta alla solitudine,
la abita, per vivere le eredità” (dal Booktrailer di Stefania Romito del libro di Pierfranco
Bruni, L’ombra di Platone, Salvatore Quasimodo, una geografia mitica, Il
Coscile).
“La poesia è la rivelazione di un
sentimento che il poeta crede che sia personale ed interiore, che il lettore
riconosce come proprio”. S. Quasimodo.
Premessa.
Per le poesie delle sue prime
raccolte, Acque e terre-1930-, Oboe sommerso-1932-, Erato ed Apollion-1936-fino
ad Ed è subiso sera -1942-, Quasimodo si può considerare il caposcuola
dell’Ermetismo, fiorito soprattutto a Firenze negli anni 30 ed in fermento nel
decennio successivo. Il critico Francesco Flora, coniando la definizione di
Ermetismo (La poesia ermetica, 1936), vi include anche Ungaretti e Montale, che
la critica oggi escluderebbe dal novero degli ermetici. Non possiamo tacere
l’opera delle riviste Il Frontespizio e Campo di Marte nel cercare di definire
la nuova poetica, anche se è sottolineata la mancanza di un programma
condiviso. Un altro critico, Carlo Bo, scrive in un altro saggio (Frontespizio)
che la tendenza ermetica afferma l’idea di “letteratura come vita”. Sembra
quasi una presa di distacco dalle pose magniloquenti, dalle parole roboanti del
dannunzianesimo e del fascismo, essendo la letteratura “la strada più completa
per la conoscenza di noi stessi, per formarci una coscienza, per fare esercizi
nella palestra formativa per eccellenza”. Quindi, la letteratura è un punto di
riferimento filosofico e spirituale ineludibile. Se l’arte ha una missione, è
certo che sia quella di tirare in ballo la responsabilità dell’intellettuale,
l’impegno che attraverso la parola poetica egli testimonia, la ricerca della
verità attraverso il simbolo. Stabilire
un linguaggio comune attraverso la ricerca di una poesia “pura” pare l’intento
del gruppo degli ermetici che a parte Quasimodo, si assumono altri autori annoverati in questa corrente: Mario Luzi, Alfonso Gatto, attivi
nell’ambiente fiorentino, ma anche il ciociaro Libero De Libero, il lucano
Leonardo Sinisgalli, il lombardo Vittorio Sereni, cui si affiancano i critici
di area ermetica Carlo Bo, Oreste Macrì. All’Ermetismo sono state accostate
alcune linee di ricerca poetica di Umberto Saba, che pure avversò l’oscurità
ermetica e di Sandro Penna, per cui Pier Vincenzo Mengaldo ha parlato di “Ermetismo
debole”.
L’incontro con Pierfranco Bruni a
proposito del suo libro “L’ombra di Platone”.
Ora, per riprendere l’analisi di
Oreste Macrì sulla prima fase della poesia di Salvatore Quasimodo, Pierfranco
Bruni cita le parole del critico (pag. 17) che riassumono i motivi essenziali
nel percorso quasimodiano, ma aggiunge (pag. 18) anche che il vero centro
propulsore della I fase della poesia di Quasimodo, che si incentra sul tema del
viaggio, si può rintracciare sicuramente nel recupero dell’infanzia, del “beato
eden”. Dal 1947 in poi, ma forse anche prima, siamo di fronte ad un “altro”
Quasimodo. Centrale è anche l’isola, in cui mito e sacro si intrecciano (Isola
di Ulisse). Affetti, ricordi, sogni, pause e riprese costituiscono il tessuto
di un’esistenza che non poteva che dipanarsi a partire dai due archetipi che
polarizzano il cammino, madre e padre, e poi terra, sogno antico, sicurezza del
ritorno. Dialogando con Pierfranco Bruni, gli abbiamo chiesto quali fossero le
componenti ideologiche del gruppo ermetico ed in cosa consistesse specificamente
l’ ermetismo di Quasimodo ed abbiamo avuto la risposta che mentre Ungaretti ,
insieme a D’Annunzio, è il poeta-fulcro centrale del primo Novecento, attratto
dalla parola che sul tracciato di un misticismo sui generis si fa metafora e si trasforma in metafisica, e
sulla scia di Enea lambisce la profezia, fondendo nella “terra promessa”
visione latina e dimensione biblica per esprimere nel “porto sepolto” tutta la
geografia della sua anima; e mentre Montale vive e fa vivere al lettore diverse
fasi e stagioni da Ossi di Seppia a Quaderno di quattro anni, ad Altri versi,
ma resta “poeta di mezzo” che risente enormemente del tardo 800, mentre poi
apre le porte al primo Ermetismo, Quasimodo è il poeta ermetico per
antonomasia, in cui lo spazio diventa il mito costante, la cui grecità nasce
all’interno di una metafisica del viaggio che incorpora una dimensione
divina, riporta al mito ed il mito si
rigenera n una “magia alchemica”. I “Greci” Stesicoro, Ibico e Leonida , Saffo
e Nosside rivivono nella parola reinventata da Quasimodo e si fanno suoni nella
conchiglia del tempo, giungendo per il Mare Mediterraneo e l’ingegno del poeta-traduttore
fino alla nostra moderna sensibilità. Nel cap. “La dissolvenza nella poesia”,
Bruni parla di mito e sacralità, terra, madre, morte e terra promessa,
interrogativi del poeta e possibili risposte. Gli chiediamo di chiarire quale è
il peso di elementi così eterogenei nella poesia di Quasimodo, qual è il
discrimine tra i due modi di fare poesia in Quasimodo ed in che senso tenebre e
luce convivono in questo poeta. Voce della poesia, mito-magia, sacro-mito
diventano tensione lirica e fucìna di immagini. Secondo Bruni, le prove più
alte in Quasimodo sono quelle della I fase, che si conclude nel 1942 con Ed è subito sera. Centrale è la figura
della madre, segno di una possibile riconciliazione antica, segno di una
promessa originaria che salva da pianti e dolori. La presenza di elementi
eterogenei nella poesia quasimodiana non esclude la presenza costante del ritmo
e della musicalità del verso. Circa le luci e le ombre, non si può che essere
affascinati proprio dall’ombra costante che è data da Platone. Essa è simbolo
dello scavo che il poeta compie dentro la metafora della caverna, che poi
significa scavo nella propria fisicità, carnalità, intimità, io-inconscio.
Il libro di Bruni indaga con un’analisi molto peculiare alla sua
cultura ed alla sua persona le correnti poetico e filosofiche più
rappresentative del 900.In Montale vede il Mal giocondo di Pirandello, parla di
Salvatore Quasimodo come del poeta della centralità del Mediterraneo vero e
vissuto, prosegue investigando gli echi di Leopardi nella poesia novecentesca,
di D’Annunzio traghettatore verso la modernità, di Ungaretti e Cardarelli come
punti di riferimento di una poetica oltre la metafisica, ma dentro la geografia
dell’anima, ed ancora di Pavese-Ulisse che ritorna,di Quasimodo-Ulisse viaggiatore
impareggiabile. Significativamente trattati nel libro di Bruni sono i temi
della madre/viaggio/terra promessa. La madre in Pirandello è tragedia, in
Quasimodo rievocazione; poi prosegue col
tema del viaggio (in Foscolo fuga costante, in Quasimodo fuga esistenziale,
metafisica geografica, ma anche terra impareggiabile, percorso che resta
dentro, una memoria sublime). La figura della madre sembra sconfinare nella
ricerca di una terra promessa.Chiediamo a Bruni se non gli sembra che nel mondo
adulto, tagliando il cordone ombelicale con la madre per la seconda volta, ci
sia bisogno, ieri come oggi, di approdare ad una nuova terra (promessa o
raggiunta per elezione o necessità) che nutra per natura e per cultura e che,
forse, proprio di questo vi sia bisogno:
di un necessario distacco che porti a maturare la propria adultità, pur nel dolore
della perdita originaria. Ci risponde che il cordone ombelicale dalla madre, in
realtà, non si rompe mai. Se “la madre è ferita nella dolcezza”, la
rievocazione dell’amore originario è la sola che possa far scaturire la
bellezza del ricordo-dolcezza. Mi piacerebbe pensare che finchè conserviamo i
ricordi del primitivo amore, allora ci sarà sempre la possibilità di un
salvifico (eterno) ritorno, fors’anche solo a se stessi, un eterno- ritorno a
quell’abbraccio circolare che è come una “piccola morte”, naufragio dolcissimo.
FMB
Nessun commento:
Posta un commento